Parliamo di creatività. Che cos’è per lei? Perché è importante?

La creatività è un valore competitivo. La competizione internazionale odierna richiede la capacità di interpretare il proprio tempo, di trovare nuove forme, nuove soluzioni architettoniche ed urbanistiche, dunque un notevole contributo creativo. Ma la creatività necessita di esercizio e su un mercato in affanno come quello italiano raramente è possibile esprimerla al meglio.

Quali eccellenze italiane esistono nel settore dell’architettura?

Mi vengono in mente gli studenti e i ricercatori dell’Università di Roma Tre che hanno progettato la casa ecologica del futuro, aggiudicandosi il primo importantissimo premio al Solar Decathlon Europe 2014, una competizione internazionale di altissimo livello. Pur con tutte le difficoltà della nostra ricerca accademica, questo risultato dimostra che esiste in Italia un DNA che può dare il meglio di sé quando messo in competizione, che ha ancora spazi di espressione. Settore in cui esprimiamo altrettanta eccellenza è il design industriale, un segmento di mercato rilevante legato alle aziende ed alla qualità dei loro prodotti.

Come sono percepiti l’architettura e il design italiano all’estero?

In generale, l’Italia della creatività ha la fortuna di godere di una reputazione straordinaria nell’immaginario collettivo, soprattutto all’estero. Alla nostra produzione creativa viene riconosciuto un grande valore, prima ancora di considerare la sua qualità intrinseca. Non a caso, architettura e design italiani sono percepiti con grandissimo interesse fuori dai confini nazionali. Mi rendo conto, lavorando spesso all’estero, di quanto essere un architetto italiano porti con sé una percezione positiva che non stiamo sfruttando abbastanza. Essa è legata alla nostra storia: l’architettura italiana non è generalmente associata ad un prodotto contemporaneo, quanto piuttosto ad una eredità secolare che ha segnato la storia dell’arte mondiale. Dobbiamo constatare che viviamo ancora di una immensa rendita che non stiamo sfruttando, senza riuscire nel frattempo a costruirne una nuova per il futuro.

Che ruolo ricopre l’architettura nello sviluppo dell’economia nazionale?

In questo contesto, ancora non si è compreso appieno che il modello economico ereditato dal Novecento, basato sulla produzione di massa, non è praticabile oggi in Italia. Con un’industria automobilistica delocalizzata e nuovi provvedimenti per la riduzione del consumo di suolo, industria auto e nuova edilizia cesseranno di essere trainanti per il nostro Paese. Per questo il segmento della cultura potrà avere un impatto fortissimo sull’economia: creatività, design, architettura da esportare, prodotti di alta gamma, enogastronomia. Prodotti che riscuotono un grande interesse nel mondo ma che noi consideriamo sempre marginali. Riportare al centro i valori ed il DNA del nostro Paese significa anche esportare qualità di pensiero.

Come si declina invece il contributo degli architetti a livello locale?

L’architettura è fondamentale per lo sviluppo del territorio. Sarà però uno sviluppo differente, imperniato sui temi del risparmio energetico e della riduzione di emissioni di CO2, che esclude la cementificazione incontrollata del territorio. A livello europeo esiste una competizione fra le città, dove l’obiettivo è diventato investire per migliorare la qualità della vita nelle città, con edifici e servizi migliori, adatti alla contemporaneità. Così facendo non solo si dà impulso allo sviluppo territoriale, ma si contribuisce al turismo ed all’immagine internazionale.

Quali consigli darebbe a un giovane architetto che volesse intraprendere la sua carriera?

Stiamo assistendo ad uno straordinario cambiamento di paradigmi ed abbiamo bisogno di persone che sappiano interpretarlo: penso soprattutto ai giovani, i 25-30enni che nel nostro settore soffrono in maniera drammatica. Un tema rilevante è quello degli strumenti digitali. Non è possibile per la generazione “analogica” degli architetti, alla quale anch’io appartengo, attuare questo cambiamento di paradigmi soltanto attraverso l’esperienza. Abbiamo bisogno di giovani che si rendano protagonisti in questa fase di transizione, che portino energia, che abbiano una visione più internazionale. Il loro ruolo nel settore è molto importante per rimanere competitivi. Mi sento di consigliare a chiunque voglia intraprendere questa carriera di imparare a “fare qualcosa”. Molti non capiscono che il nostro è un mestiere di competenze e non di titoli. Anche dopo la laurea serve acquisire e costruire competenze specifiche e renderle ben visibili dal punto di vista della domanda di lavoro, che spesso fatica a scovarle. Il mio studio è un buon esempio di questa necessità. Vi lavorano circa 40 persone: ci sono modellisti, responsabili delle relazioni esterne, ricercatori in ambito energetico ed altre professionalità; e sono tutti architetti. Questo mestiere ha assunto dunque tante sfaccettature: “vecchi saperi” e “nuove sfide” non sono compatibili.

Che sfide vede per il futuro del settore? Qual è secondo lei la chiave per concluderle da vincitori?

A proposito di sfide, mi piace questa citazione attribuita a Ernest Hemingway: «Ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica». Oggi però al nostro bivio c’è una segnaletica chiarissima. Sappiamo dove dobbiamo andare e la sfida è tutta legata alla sostenibilità: energia, mobilità sostenibile, emissioni inquinanti, risparmio energetico, adattamento ai cambiamenti climatici. Fino a qualche tempo fa questi temi sembravano estranei al nostro mestiere; oggi sono divenuti le grandi sfide del futuro, e coinvolgono da vicino la progettazione architettonica e urbanistica. Abbiamo bisogno di tutta la creatività di cui disponiamo per affrontarle ed interpretarle.

Foto di Luca Maria Castelli

Ai più importanti bivi della vita non c’è segnaletica.

Mario Cucinella