Nella sua ricca carriera ha diretto prosa, lirica, cinema. Coreografo di fama internazionale, in Italia ha raggiunto una notevole popolarità quando ha incontrato la TV. Nella sua attività convergono dunque molti ambiti della creatività. Partendo dalla sua esperienza, crede che la sinergia tra i diversi comparti possa rappresentare un valore per l’industria creativa italiana?
Se si è in grado di parlare due lingue invece della sola lingua madre, le possibilità di comunicare e lavorare raddoppiano. Con tre lingue ovviamente triplicano e così via. Inoltre parlando più lingue se ne scoprono le affinità, i processi logici che portano a determinate espressioni e di conseguenza, più lingue si conoscono, più è facile impararne di nuove.
È quello che accade nei linguaggi dell’arte e della comunicazione dello spettacolo. Non è solo una questione di “contaminazioni” che, si usava dire, arricchiscono l’autore ed il risultato del proprio lavoro, ma una vera e propria visione più ampia, meno legata agli inevitabili preconcetti derivanti dalla sola conoscenza di un unico mezzo di comunicazione. Non c’è insomma il rischio di fondamentalismi culturali o di auto proclamazioni profetiche della propria forma espressiva quale unica verità artistica.
Il coraggio e la forza (ma anche l’umiltà) di confrontarsi con differenti linguaggi artistici e mezzi di comunicazione di spettacolo all’apparenza opposti (come teatro, cinema e televisione), insegnano l’affascinante relatività di ciascuno di essi, il cui prodotto può essere eccellente e sofisticato, ma può anche diventare così elitario e di nicchia da non arrivare neppure al “quorum” minimo di fruitori necessario per entrare nella storia reale di quell’arte (accade a volte in teatro), o in altri casi talmente autoreferenziale da perdere il senso stesso della realtà e della qualità (accade a volte in TV).
Per citare un esempio pratico che mi riguarda, mentre ero Direttore Artistico del Corpo di Ballo del Teatro Massimo di Palermo, ho partecipato per alcuni anni ad un’importante trasmissione televisiva in qualità di esperto di danza e balletto. Nonostante tanti addetti ai lavori dei teatri di eccellenza abbiano giudicato poco “chic” la mia presenza in TV, in quel periodo ho triplicato il numero di biglietti venduti per gli spettacoli di balletto al Teatro Massimo e sono riuscito a creare un ponte di comunicazione con tanti fruitori esclusivi della TV, in maggioranza giovani, molti dei quali hanno messo piede per la prima volta in quel grande teatro lirico che fino ad allora avevano visto solo da fuori, considerandolo poco più di un vecchio, noioso, bel monumento.
Il suo lavoro l’ha portata a calcare i palcoscenici di mezzo mondo, dagli Stati Uniti ad Israele. Quale patrimonio rappresenta la cultura e la creatività italiana agli occhi del pubblico degli altri Paesi e come valorizzarlo al meglio?
Non c’è bisogno di essere laureati in Storia per sapere che l’Italia ha creato le basi della maggior parte dei teoremi estetici dell’arte e della cultura occidentale e dopo un paio di migliaia di anni sono ormai parte del nostro patrimonio genetico. Architetti, designer, stilisti, registi, coreografi, compositori, pittori, orafi, scultori, sono costantemente nella top ten delle eccellenze creative del pianeta Terra.
Potremmo però valorizzare meglio la nostra creatività all’estero, iniziando una vera riforma di modernizzazione degli Istituti di Cultura Italiani, che di fatto proprio a ciò sarebbero votati. Attualmente gli Istituti di Cultura non forniscono un vero supporto per facilitare la diffusione della cultura italiana perché sono ancor oggi in molti casi luoghi troppo burocratici, con budget ridicoli, dove si organizzano cose un po’ vecchie per sparuti gruppi di persone anziane. Avere invece un supporto logistico sul territorio, fare informazione sulle domande culturali di un determinato Paese, mettere in contatto artisti, teatri, festival ed associazioni culturali italiane con i relativi referenti del luogo, sarebbe un servizio di vera promozione culturale italiana, fatta di informazione, logistica e cose semplici e concrete. I francesi ad esempio da decenni promuovono nei Paesi del mondo strategici per i flussi di tendenza culturali planetari, festival di cultura francese, eventi della loro cultura musicale, teatrale, cinematografica di forte impatto, penetrazione ed influenza estetica. Basti pensare ad esempio al Festival Roma Europa in Italia oppure al French May ad Hong Kong. Appuntamenti annuali di grandi festival realizzati e coprodotti in collaborazione con gli Istituti di Cultura francesi. In tali occasioni, con importanti interventi di marketing e comunicazione, garantiscono ai loro artisti ed ai loro prodotti culturali, la visibilità e l’autorevolezza che permettono di penetrare nella cultura artistica del Paese che li ospita molto più di una lettura di poesie, della mostra di pittura o della proiezione di un vecchio film d’autore in una sala semivuota il cui pubblico è spesso composto da qualche decina di italiani residenti all’estero, qualche diplomatico e qualche simpatizzante della cultura italiana.
È ovviamente una questione di risorse e competenze idonee. I Direttori dei nostri Istituti di Cultura dovrebbero essere dei manager dell’industria culturale molto attivi in Italia ed a livello internazionale. Dovrebbero avere un reale know-how delle nuove tendenze estetiche internazionali e promuovere quelle italiane per far loro avere canali di diffusione internazionali organizzati e non improvvisati come accade ancor oggi per la maggior parte degli artisti italiani.
La sua posizione le consente uno sguardo privilegiato sui giovani che vogliono costruirsi una carriera impegnandosi nel settore creativo e culturale. Crede che le istituzioni e i territori facciano abbastanza per supportarli? Quali azioni proporrebbe per aiutarli con più efficacia?
I giovani sono una risorsa straordinaria ed è fondamentale incentivare e stimolare le loro passioni artistiche perché avere una passione significa avere anche un sogno e di conseguenza uno scopo e la disciplina che serve per esaudire quel sogno. Questa passione crea una generazione di ragazzi che si affacciano al mondo del lavoro avendo imparato che per ottenere risultati serve tempo, costanza, energia e soprattutto impegnarsi nella propria attività professionale con amore e con gioia.
Inoltre chi ha una passione creativa ha necessariamente bisogno di confrontarsi e di condividere le esperienze di altri, studiare quelle passate e sperimentarne di nuove. Tutto questo, tradotto in un’altra parola, si chiama cultura. E la cultura (lo sa ormai anche chi non ne possiede) crea sempre ricchezza. Spirituale, sociale, ma anche materiale.
Trovo dunque antieconomico tagliare i fondi ai teatri o addirittura chiudere Orchestre, Compagnie di prosa, Corpi di ballo. Se si pensa, solo per citare dei dati che conosco bene, che gli allievi delle scuole di danza in Italia sono un milione e ottocentomila e nonostante ciò i Corpi di Ballo delle grandi Fondazioni Liriche e di Balletto per misteriosa volontà politica, si sono ridotti a 4 in tutta Italia (in Germania sono circa 50), sarà facile immaginare il costo sociale della perdita di motivazione e dell’omicidio della loro passione, sottraendo a questo esercito di ragazzi la speranza di inserimento nel mondo del lavoro. Un milione e ottocentomila giovani cui viene tolta una motivazione, rappresentano probabilmente, per chi ha lungimiranti e reali visioni storiche e sociali, un costo ben più alto dei circa 30 milioni di euro l’anno risparmiati.
Infine avremmo il piacere di chiederle una frase o uno slogan, di sua invenzione, a supporto del progetto “Italia Creativa”
L’Italia Creativa. Il ricordo del futuro.
L’Italia Creativa. Il ricordo del futuro.
Luciano Cannito