Fandango. Dietro a questo nome c’è una rara visione d’insieme dell’industria creativa, capace di mettere insieme cinema, letteratura, web tv, musica. Quali sono secondo lei i vantaggi di fare sistema nella creatività italiana?
Ho sempre trovato interessante avvicinare talenti diversi tra loro. Credevo prima, e ho constatato nel tempo, che certi “corti circuiti” possono portare risultati sorprendenti, imprevedibili. Aver creato una impresa con più specificità, cinema, tv, editoria, musica, ci ha permesso di avere più strumenti nel trattare quella che per noi è la materia prima: l’espressione del talento. Ci è capitato diverse volte di indirizzare diversamente del materiale narrativo, storie che miravano al cinema sono diventate buoni libri, e viceversa, idee per film si sono rivelate più adatte ad uno sviluppo televisivo. Avere poi una vicinanza con altre forme d’espressione artistica permette di dare a volte una forma più definita ad un progetto, e qui la musica può fare tanto. Al di là dell’esperienza Fandango, ovviamente limitata, una maggior coesione tra le imprese che si occupano di produzione culturale sarebbe una cosa molto buona, non facile, ma che potrebbe dare maggiore originalità e varietà all’offerta creativa.
Quali sono secondo lei le peculiarità della creatività italiana nel cinema rispetto allo scenario internazionale? Come andrebbe maggiormente valorizzata la creatività italiana nel cinema?
La creatività italiana si esprime in forma episodica, rispetto a quello che accade in altri Paesi. Penso possiamo crescere molto nel creare sistema intorno alla nostra Industria Creativa. Dobbiamo lavorare sia all’interno che fuori. Nel cinema, per esempio, solo di recente siamo riusciti a far conoscere al mondo la produzione di questi anni, e anche in questo caso grazie a singoli autori che hanno particolarmente brillato. Il rischio è di vivere nella continua celebrazione di un passato importante, che va tenuto in vita, ma che va legato al nostro presente. E il nostro presente merita di essere raccontato al mondo.
La rivoluzione digitale ha coinvolto gran parte del settore cinematografico. In che modo, secondo lei, la pirateria ha impattato sullo sviluppo e sulla crescita dell’industria cinematografica?
La pirateria è un problema serio e grave, e va affrontato con decisione. C’è troppa demagogia, troppa paura di perdere il consenso delle fasce più giovani. La pirateria, e la sua impunità, stanno creando un danno ancora maggiore di quello diretto, che è pur molto grave. Stanno ingenerando nei più giovani la convinzione che avere accesso a tutto ciò che è offerta culturale (cinema, musica, libri…) senza che questo abbia un prezzo, neanche minimo, sia normale, anzi addirittura giusto. È una stortura grave e pericolosa che senza una presa di posizione forte rischia di non essere nemmeno percepita come tale.
Foto di Alberto Novelli
Possiamo crescere molto nel creare sistema intorno alla nostra Industria Creativa.
Domenico Procacci