Le attività letterarie sono adeguatamente sostenute nel nostro Paese sia a livello pubblico sia privato?
Si potrebbe fare molto di più. La tradizione, molto solida all’estero, delle residenze per scrittori – pubbliche e private –, le borse per lavori creativi, il sostegno alle traduzioni: su questi fronti si potrebbe agire di più e meglio. Paesi molto più piccoli del nostro lavorano per far conoscere la loro letteratura all’estero, noi facciamo pochissimo.
Che cosa suggerirebbe ad un giovane per intraprendere la carriera dello scrittore in modo professionale?
Spedire il proprio dattiloscritto alle case editrici non è sempre la soluzione migliore. È preferibile oggi farsi conoscere attraverso blog, riviste, corsi di scrittura seri. E attraverso quei pochi premi per inediti che davvero fanno la differenza, su tutti il Premio Italo Calvino, di serietà e rigore inappuntabili.
Che impatto ha avuto la rivoluzione digitale sul sua attività di scrittore?
A dieci anni (1993) ho cominciato a usare il computer, quindi – pur non essendo tecnicamente nativo digitale – ho sempre lavorato con questo supporto. Non ho mai sentito concorrenza negativa fra carta e digitale: credo piuttosto a una integrazione, a un’alleanza che può dare risultati significativi e aprire spazi nuovi.
Foto di Roberto Campanaro
Credo a una integrazione, a un’alleanza fra carta e digitale che può dare risultati significativi e aprire spazi nuovi.
Paolo Di Paolo