Non esiste rischio più paradossale che abituarsi alla bellezza, eppure questo rischio è sempre dietro l’angolo, in un Paese come l’Italia. Viviamo circondati dall’arte, dai fasti del passato, e ci siamo talmente assuefatti alla bellezza in cui siamo immersi ogni giorno da ritenere di non dovercene più stupire, anzi di non dovercene preoccupare affatto. Lo studio qui presentato ci consegna finalmente un dato incontrovertibile, che può e deve trasformare radicalmente l’ordine delle nostre priorità: l’Industria Culturale e Creativa non è soltanto la punta di diamante del nostro Paese, ma una risorsa economica strategica, in grado di fare da traino per tutti gli altri settori. L’Industria Culturale e Creativa conta in Italia quasi un milione di occupati, con una percentuale importante di impiego femminile e giovanile, e produce un valore di oltre 40 miliardi di euro. A queste cifre, che misurano il solo valore prodotto dal nucleo dell’Industria Creativa – di per sé pari al 2,5% del PIL – vanno inoltre aggiunti i profitti generati indirettamente nelle restanti industrie. La creatività e la cultura sono infatti la matrice della nostra differenziazione, il motore della nostra crescita. È un’equazione semplice: il cuore dell’Industria Culturale e Creativa sta alle altre industrie come il disegno dell’architetto che progetta un edificio (del designer che progetta una lampada o un’automobile, dello stilista che disegna un abito etc.) sta al valore economico generato a cascata dal prodotto finale, dalla sua realizzazione, diffusione e fruizione/commercializzazione. Il punto è che, sebbene queste ultime fasi possano essere trasferite e vengano di fatto sempre più spesso trasferite all’estero, il cuore pulsante della creatività non è esso stesso delocalizzabile. Questo significa che l’Italia ha un DNA unico, non trasferibile, e che noi ne siamo i diretti responsabili. Viviamo da sempre circondati dalla cultura e dalla creatività, oggi dobbiamo tornare a comprendere – dati alla mano – che esse sono anche la nostra principale chance di crescita.

Quali sono gli strumenti utili a incoraggiare fattivamente questa crescita? I dati presentati da EY ci indicano alcune direzioni fondamentali. In primo luogo, la tutela del diritto d’autore come garanzia di libertà e creatività. Il diritto d’autore è per l’Industria Creativa ciò che i brevetti sono per l’industria scientifica e tecnologica, senza di esso non sarebbe possibile la tutela dell’opera immateriale. Non parlo solo di una tutela di tipo legale, è in gioco il rispetto verso un intero mondo, la consapevolezza dell’importanza del lavoro intellettuale nel suo complesso. Il secondo strumento di crescita consiste nel digitale, grazie al quale i contenuti hanno ormai facile accesso a un mercato internazionale. Perché la rivoluzione digitale non rappresenti una minaccia, ma diventi anzi una straordinaria occasione per la filiera creativa, bisognerà affrontare con determinazione il tema del cosiddetto value gap. Il value gap è il divario, oggi allarmante, fra il valore generato in rete dai contenuti culturali e creativi e la remunerazione dei soggetti che detengono la paternità di quei contenuti. Questo divario provoca uno squilibrio economico-occupazionale che avvantaggia i colossi dell’over the top a danno dei creativi, i quali – mi preme ricordarlo – vivono spesso solo dei proventi derivanti dalle loro opere. In terzo luogo, perché la crescita regga sulla lunga durata non si può contare soltanto sulle forze spontanee dei singoli settori, ma è auspicabile la creazione di una rete di sostegno, fatta di investimenti pubblici e privati e basata sulla collaborazione intra e intersettoriale. La natura osmotica delle arti che rientrano nella definizione di Industria Culturale e Creativa fa appello essa stessa a uno spirito di coesione ora più che mai necessario, che parta dal basso per riverberarsi fino a una progettualità istituzionale e politica. Occorre in definitiva “fare squadra” per proteggere la specificità dell’Italia Creativa e Culturale, con mosse mirate e lungimiranti. In Francia, dove questo studio è stato condotto per la prima volta, la stessa industria pesa lo 0,9% in più sul PIL. Poniamo davanti a noi un primo obiettivo concreto, per i prossimi anni: eguagliare il dato francese. Solo raggiungendo questo obiettivo, riusciremmo a generare 300.000 posti di lavoro in più.

Così facendo potremo garantire non da ultimo un futuro ai nostri giovani, a chi rappresenta il futuro della nostra economia e della nostra cultura. In tutti i settori, e a maggior ragione in quello culturale e creativo, ciò che accadrà in futuro è legato a doppio filo alla capacità di produrre opere e contenuti destinati non solo al mercato italiano, ma anche e soprattutto a quello globale. Il mercato italiano deve tornare a crescere, a ricoprire quella funzione di copalestra in cui i giovani talenti, col supporto delle imprese del settore, possano “farsi le ossa”, gettando le basi per competere in un contesto sempre più concorrenziale. Abbiamo la fortuna di esserci guadagnati nel tempo una reputazione altissima, legata al nostro passato e alla nostra storia. Ebbene, soltanto se associata a un mercato dinamico la buona reputazione potrà offrire opportunità di crescita al nostro Paese, su scala nazionale e internazionale.

In sintesi, dalle brevi considerazioni che precedono e dalla lettura della ricerca mi pare si possano ricavare alcune direttive ben precise. L’Industria Culturale e Creativa è un organismo unitario, per quanto complesso. Le sue diverse aree sono comunicanti e vivono di uno scambio continuo, le leve di crescita sono le medesime per ognuna di esse: una tutela efficiente e aggiornata del diritto d’autore, un uso intelligente dei vantaggi offerti dal digitale, la creazione di una rete di sostegno fatta di investimenti e cooperazione fra i settori, più in generale, la difesa della nostra identità e specificità culturale. I dati sull’occupazione ci dicono che l’Industria Culturale e Creativa italiana è già una colonna portante della nostra economia. Il suo potenziale di volano per le altre industrie rimane però ancora in gran parte inespresso. Quello italiano è il più consistente patrimonio artistico e culturale al mondo e il compito che ci attende è commisurato alla sua grandezza. Proviamo allora a convogliare le energie dei giovani nelle arti e nelle imprese, facendo sì che alle loro creazioni venga riconosciuto il giusto valore. Proviamo a far sì che la nostra identità non rimanga confinata negli spazi museali di ciò che abbiamo ereditato, proviamo a mettere il nostro passato glorioso al servizio del futuro, riservando a entrambi la stessa cura. Potremmo raggiungere risultati artistici ed economici straordinari nei prossimi vent’anni. Nessun altro settore economico ha in questo momento maggiori potenzialità di crescita del settore culturale e creativo. Sapremo trasformare queste potenzialità in benefici tangibili?