Le pagine di questo Rapporto contengono un autorevole tentativo di dare un valore economico a quell’insieme di imprese e di attività che vengono definite come “Industrie Culturali e Creative” nel nostro Paese. Le difficoltà di offrire una rappresentazione economica dei settori che le compongono, del loro contributo al Pil e delle dinamiche occupazionali sono in più occasioni richiamate dai ricercatori. Questo è, comunque lo si guardi e lo si valuti, il primo e compiuto tentativo di mettere in evidenza il contributo che l’insieme aggregato delle Industrie Culturali e Creative dà al “valore della nazione”. E sono valori importanti, forse per alcuni sorprendenti: le Industrie Culturali e Creative contribuiscono per il 2,9% al Pil e, dato ancora più importante, rappresentano il 4,5% della forza lavoro.

Sono cifre che confermano che veniamo prima di altri settori industriali (p.e. le telecomunicazioni) o poco distanti da altri: non siamo così distanti da quello automobilistico. Iniziamo con questo Rapporto ad allineare il nostro Paese con altri che in Europa si sono dotati di strumenti analoghi. Dal documento si estrapolano due evidenze: le distanze che ci separano dai paesi più virtuosi e le potenzialità di crescita del settore. In altre parole, lo studio indica una strada e un percorso che abbiamo da tempo già intrapreso ma che non possiamo continuare a percorrere in solitudine, senza quella sponda politica che altrove in Europa vede le Industrie Culturali e Creative come uno degli asset attraverso cui le altre eccellenze di un Paese si presentano e si raccontano sui mercati internazionali.

Ulteriore considerazione: raggiungere un’incidenza sul Pil e occupazionale analoga a quella francese significherebbe 300 mila nuovi posti di lavoro e 15 miliardi di euro in più di fatturato. Posti di lavoro in più che sarebbero senza dubbio dedicati ai più giovani o, per dire ancor meglio: alle più giovani. Perché uno degli altri risultati dell’indagine è l’aver messo in rilievo che la nostra struttura occupazionale è mediamente giù giovane e più femminile della media occupazionale del Paese, con molti più nuovi ecosistemi professionali legati alle tecnologie digitali di quanto comunemente si immagina.

Per i ricercatori sviluppare questa ricerca ha significato trovare gli elementi comuni tra comparti con modelli di business eterogenei: nei modelli economici, nel ruolo che il “contributo” pubblico svolge nel loro funzionamento, nella proiezione internazionale dei singoli settori.

EY ci ha messo tra le mani uno strumento che ci offre la possibilità di “conoscersi”, di identificare, più di quanto già non avvenga, le opportunità di collaborazione, di permetterci di parlare all’unisono. E’ uno strumento che consegniamo nelle mani anche della politica perché questa fotografia di gruppo che è l’insieme dei nostri settori venga percepita non più solo per i suoi valori culturali ma per i suoi valori economici: diretti e indiretti. Da oggi le Istituzioni non potranno più dire che non conoscono il valore economico delle Industrie Culturali e Creative e quanto la loro crescita può offrire alla ricchezza e ai livelli occupazionali del Paese.

 

Da oggi le Istituzioni non potranno più dire che non conoscono il valore economico delle Industrie Culturali e Creative e quanto la loro crescita può offrire alla ricchezza e ai livelli occupazionali del Paese.

Marco Polillo