Giornalista, direttore, presidente di una casa editrice. Un percorso che nasce nella carta stampata e che porta con prepotenza all’imperativo digitale. Lei ha traghettato il Corriere della Sera su web ed è stato tra i primi ad accompagnare i suoi articoli con il suo indirizzo e-mail. E adesso? Che futuro immagina nel rapporto tra editoria (quotidiana e non) e universo digitale?
Ma intanto i contenuti sono importanti. I contenuti di qualità saranno decisivi nello sviluppo dell’informazione digitale. Naturalmente si tratta di essere preparati, originali, credibili, attendibili, seri ed onesti. Che non è poi così facile.
Attraverso il digitale tanti sono diventati editori dei loro contenuti riuscendo in alcuni casi a entrare nel giornalismo vero e proprio. Lo stesso discorso vale per altri mondi della creatività, dove fumettisti e artisti allora misconosciuti sono diventate vere e proprie celebrità. Cosa pensa di questa nuova gavetta? Al di là dei suoi limiti, può rappresentare un potenziale positivo?
Io credo che stiamo vivendo una rivoluzione della quale probabilmente apprezzeremo gli effetti tra qualche anno. Stiamo assistendo al fenomeno dei contenuti che sono creati dagli stessi utenti, con la compartecipazione di siti che in qualche modo rappresentano un volano estremamente importante nel diffondere contenuti di grande qualità. Io sono assolutamente positivo e questo ha creato una gara implicita nel farsi riconoscere come creativi. Non c’è più quello schiacciamento che c’era un tempo: non riesco a pubblicare, non riesco a farmi vedere, non riesco ad incontrare chi potrebbe in qualche modo decidere il mio destino. No, oggi c’è la rete: io posso farmi vedere e posso anche farmi valere.
Lei ha guardato il nostro Paese da una posizione privilegiata. È stato direttore del Corriere e del Sole 24 Ore in anni storicamente fondamentali per il presente del nostro Paese. Per quanto riguarda la cultura e la creatività, qual è la vera occasione persa dalla politica in quegli anni? Quale viatico darebbe alle istituzioni di oggi per non ripetere gli stessi errori?
Intanto noi pensiamo in Italia che la cultura sia un costo ma in realtà è un grandissimo investimento. Non c’è mai stata, e io sono d’accordo con questa vostra iniziativa, l’idea di presentare l’industria della creatività nel suo complesso. Per esempio, bisognerebbe smetterla con questa diatriba tra privato e pubblico soprattutto nella gestione dei beni culturali. Bisogna creare un sistema, un sistema italiano. In realtà questo sistema italiano non l’abbiamo creato. C’è poi un malinteso federalismo. Ognuno pensa di essere l’ombelico del mondo in questo Paese, mentre bisognerebbe mettersi tutti insieme. Dobbiamo ovviamente avere anche orgoglio di quello che siamo ed essere tutti testimoni e ambasciatori della creatività italiana. Quello che accade è che alcuni di noi spesse volte sono ambasciatori e testimoni della creatività degli altri.
Infine avremmo il piacere di chiederle una frase o uno slogan, di sua invenzione, a supporto del progetto Italia Creativa
Italia Creativa, bellezza utile, Paese in crescita.