Perché c’è bisogno di creatività nella carta stampata?
La creatività serve ai giornali, anche a quelli più identitari come l’Espresso, per sorprendere ad ogni numero il proprio lettore. Siamo sempre più immersi in un flusso continuo di informazioni, rischiando di trovarci in una sorta di blob, di marmellata indistinta. La creatività consente di esprimere quel punto di vista originale che spiazza il lettore, soprattutto in termini di interpretazione delle notizie: specialmente in un settimanale, è necessario andare oltre i semplici fatti. Scelto un determinato argomento bisogna ribaltarne l’angolazione, mostrando prospettive inedite e andando oltre la facciata della notizia.
Come si difende l’originalità dei contenuti dalla tendenza generalizzata del mondo di Internet (motori di ricerca, aggregatori) ad utilizzarli illecitamente, spesso senza nemmeno citarne la fonte?
Purtroppo oggi dobbiamo confrontarci con nuove generazioni che considerano le notizie una commodity. Un’informazione di qualità richiede invece ingenti investimenti economici. Pensando ad esempi come Google, cioè a piattaforme tecnologiche che si evolvono in editori usufruendo del lavoro altrui senza alcun riconoscimento, è evidente la necessità di intervenire. La questione è controversa e le soluzioni possibili sono tuttora oggetto di dibattito. Quel che conta in ogni caso è che siano corrisposti dei diritti, in forme e modi da concordare Paese per Paese, ma più auspicabilmente nel quadro di una normativa europea. Nel 2013 il Governo francese siglò un accordo che prevedeva il versamento di 60 milioni di euro da parte di Google a favore di un fondo per l’innovazione tecnologica dei media transalpini. Mi sembra una soluzione minimalista, anche rispetto all’impegno che editori e singole testate mettono nel produrre prodotti di qualità.
Lei ha associato il percorso intrapreso dal suo giornale ad un’immagine, quella della bussola. Può spiegarci perché? Che cosa vi differenzia da altre pubblicazioni periodiche?
Cerchiamo di fornire strumenti che orientino il pubblico nel flusso ininterrotto di notizie. La mia generazione è cresciuta con due soli appuntamenti informativi nel corso della giornata: la mattina in edicola con il quotidiano preferito, la sera con il telegiornale (in principio uno soltanto). Ora siamo inseguiti dalle informazioni anche quando vorremmo evitarle, persino mentre usiamo i mezzi pubblici. Nelle stazioni metropolitane di Roma, il circuito informativo interno “bombarda” gli utenti di notizie. La bussola è uno strumento di approfondimento che consente di andare oltre il flusso, oltre la melassa indistinta senza gerarchie e, in alcuni casi, persino senza qualità.
È esattamente questo il ruolo di un settimanale: offrire contenuti che stimolino la riflessione, che non rappresentino il compendio degli avvenimenti della settimana. Per differenziarsi ulteriormente, poi, servono anche argomenti e racconti inediti, che tipicamente si traducono in inchieste. Se i quotidiani hanno adottato la formula della “settimanalizzazione”, il settimanale deve perseguire quella della “mensilizzazione”, con inchieste condotte sul campo della durata di diverse settimane. Inoltre, non può prescindere da un impaginato di qualità, con una grafica gradevole ed una scelta iconografica all’altezza degli argomenti trattati.
Quali sono secondo lei le specificità dei diversi canali di distribuzione dei contenuti (carta e online)?
Si può partire dalla distinzione più semplice: l’online ha il vantaggio della velocità, la carta quello della profondità. Vanno fatte ovviamente tutte le dovute distinzioni: a volte anche la Rete propone inchieste di lunga durata, profonde, ben fatte. D’altra parte, l’editoria cartacea non può rimanere avulsa dai tempi rapidi della società di oggi. C’è però una differenza di fondo: i pubblici di riferimento dei due media sono per la maggior parte distinti, sovrapponendosi solo parzialmente. Generalmente, i giovani prediligono i mezzi digitali, il pubblico maturo si orienta su quelli tradizionali. Ma quegli stessi giovani, una volta divenuti classe dirigente utilizzeranno maggiormente la carta, così come l’odierna classe dirigente sfrutta il flusso continuo di aggiornamenti offerto su mezzi digitali. Si tratta, in sintesi, di due interfacce del mondo della comunicazione con un obiettivo in comune: raggiungere il maggior numero possibile di utenti.
La fruizione digitale è legata a doppio filo al futuro del vostro settore. Da dove si parte per pervenire ad un ruolo nuovo, più attuale e più attraente, della carta stampata?
Sono convinto che il web non ucciderà la carta, così come il cinema non ha ucciso il teatro, né la tv ha ucciso la radio. Ma alcuni cambiamenti, anche profondi, sono necessari per sopravvivere. I dati dell’Audit Bureau of Circulation britannico (riportati da TheMediaBriefing) mostrano che la circolazione dei quotidiani nazionali nel Regno Unito si è ridotta del 7,69% fra l’ottobre 2014 e l’ottobre 2015. Si tratta di una tendenza che continua da alcuni anni. Il modo migliore per garantire alla carta un futuro è quello di difendere la tradizione, innovandola al contempo: è lo sforzo che tutto il nostro settore deve fare, puntando al cuore delle questioni più rilevanti. Che cosa vogliono i lettori? Vogliamo davvero giornali di carta così pieni di pagine, così generalisti? O dobbiamo invece “ritornare alle origini”, selezionando ancor di più, noi giornalisti per primi, le notizie e gli approfondimenti da offrire ai lettori? Prima della seconda guerra mondiale, un giornale aveva pochi fogli: forse le risposte di cui abbiamo bisogno oggi sono fatte anche di essenzialità.
La creatività consente di esprimere quel punto di vista originale che spiazza il lettore.
Luigi Vicinanza