L’obiettivo dello studio è porre l’accento sul settore della cultura e creatività visto nel suo insieme. Secondo lei che ruolo ricopre la creatività e la cultura in Italia?
Creatività e cultura in Italia ricoprono un ruolo trainante, in quanto rappresentano elementi di differenziazione per il nostro Paese e potenziali fonti di vantaggio competitivo per il “Sistema Italia”.
I settori dell’industria creativa vengono spesso visti singolarmente e separatamente: cinema, tv, musica, arte, etc. Se visti nel complesso, però, valgono 2,5 punti di PIL e sono il terzo settore italiano per occupati con quasi 1 milione di addetti. Che cosa hanno in comune secondo lei? Si potrebbe fare qualcosa per sfruttarne l’effetto sistema? Può essere un’opportunità per il suo ambito e per il Paese in generale?
Il livello di eterogeneità dei singoli settori che compongono l’industria della creatività e della cultura è ancora piuttosto elevato in Italia. L’elemento comune è rappresentato dallo storytelling: che si tratti di puro entertainment, di giornalismo o di attività più squisitamente tecniche, si tratta sempre di raccontare delle storie. Manca ancora, tuttavia, il riconoscimento reciproco dei ruoli e la consapevolezza di appartenere ad un insieme, più ampio del proprio ambito specifico. Il “salto quantico” imposto dalla tecnologia può rappresentare un elemento che avvicina i diversi comparti e porta ad una convergenza dei linguaggi, delle pratiche e delle modalità di reazione alle difficoltà. Questa convergenza si riscontra non solo nelle modalità di accesso al mercato, ma anche nelle sfere più core, quali quella editoriale e quella produttiva.
Che cosa dovrebbe fare il Paese per supportare questo settore secondo lei? Quali il ruolo delle istituzioni, quello degli addetti e quello dei cittadini in generale?
Il ruolo delle istituzioni è centrale. I comparti dell’industria della creatività e della cultura in Italia non sono in una situazione florida. È inverosimile che da soli i soggetti trovino nel contesto attuale l’energia necessaria per convergere, per collaborare e fare sistema. Le istituzioni dovrebbero operare per favorire l’industria agendo su diversi aspetti: formazione, interventi agevolativi, semplificazione procedurale e amministrativa, interventi a supporto della nascita di poli di eccellenza. Questi ultimi in particolare dovranno essere veri punti di accumulazione di conoscenza, expertise e managerialità. Dovranno perseguire diversi obiettivi: raggiungere la necessaria massa critica per poter innescare circoli virtuosi; attrarre talenti e capitali anche esteri; infine, arrivare a costituire a loro volta il volano per l’esportazione della nostra industria creativa e culturale.
Cosa si può fare per sostenere e tutelare meglio le attività creative che alimentano e sostengono l’intera filiera?
La formazione è fondamentale a tutti i livelli, ma soprattutto a livello di filiera, perché agli operatori non è ancora chiaro chi deve parlare con chi e quali sono i vantaggi di un approccio olistico ed integrato che supera le frammentazioni ed i particolarismi.
Cosa suggerirebbe di fare per valorizzare i talenti nazionali e in particolare i giovani? Cosa possono fare le istituzioni per creare un contesto “favorevole” all’emergere di giovani artisti? Cosa gli operatori del settore? Cosa il sistema Paese in generale (pubblico, “formatori”, ecc.)?
I giovani sono chiave. L’ingresso nel mondo del lavoro è il momento più delicato. L’industria di creatività e cultura soffre la competizione intersettoriale nella lotta per accaparrarsi i migliori talenti. In Italia esistono tanti giovani con talento cristallino per avere una carriera in questa industria, ma spesso scelgono di essere dirottati su altri settori perché spinti dal convincimento che di creatività e cultura non si campi. Retribuzioni medio-basse, situazioni e contesti poco strutturati, poche garanzie, fanno sì che per molti talenti non si crei neanche la possibilità di provarci. Il sistema Paese dovrebbe essere in grado di creare le condizioni di serenità e di economicità di base, da un lato, per le imprese ad impiegare talenti giovani; dall’altro, per i giovani eccellenti a percepire una carriera in ambito culturale non come un azzardo ma come una scelta comparabile ad altre. Se ci riuscisse, l’Italia potrebbe competere con contesti esteri che oggi attraggono talenti proprio perché da tempo garantiscono queste condizioni.
Quale può essere in questo ambito il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale? Quale quello delle aziende italiane nel contesto globale?
L’Italia ha un mercato di sbocco interno che è troppo limitato. L’internazionalizzazione è un tema nodale. Le aziende italiane però non possono muoversi ognuna da sola. Ci vuole un framework comune, uno schema che consenta le aggregazioni dal basso; che si tratti di reti di imprese o di altre formule non è importante. La governance deve essere semplice, non ci devono essere sovrastrutture e le istituzioni devono fare la loro parte.
Il digitale ha dato la possibilità di raggiungere più facilmente milioni di utenti e ha creato, anche nel suo settore, nuovi spazi per player esistenti e per nuovi player. Che ruolo gli attribuisce? E quali misure adotterebbe per promuoverne il corretto utilizzo?
Il digitale rappresenta una grossa occasione. Il digitale riduce o elimina le barriere all’ingresso. Il digitale porta al crollo di modelli basati unicamente sull’impedire l’accesso ad altri soggetti e sullo sfruttamento del first mover advantage. Il digitale costringe a ripensare modelli di business, modalità operative, modalità di esecuzione del mestiere e fa avvicinare comparti storicamente distanti. Il passaggio al digitale spinge a trovare soluzioni comuni, convergenti, collaborative, è un fattore abilitante per l’affermazione di idee e di nuovi modi di fare le cose. Per questo il digitale va sfruttato massimamente, soprattutto alla luce del ruolo che può rivestire per le nuove generazioni. Sarà infatti fondamentale, per loro, allo scopo di entrare nel mondo del lavoro, affermarsi e contribuire a definire un nuovo assetto di riferimento per il settore stesso.
Che sfide vede per il futuro del settore? Che opportunità? Cosa cambierebbe?
Il settore riuscirà ad evolvere se andrà oltre il concetto naïf di creatività e cultura. Le nozioni di mestiere e di artigianalità, che sono componenti chiave, dovranno evolvere all’interno di un modo di fare azienda più moderno, guidato dalla tecnologia ma anche da un sostanziale cambiamento di mindset. L’innesto di nuove generazioni e di professionalità già sviluppatesi nel nuovo contesto dovrà consentire di strutturare e rendere sostenibile un settore che altrimenti rischia la deriva. Questo permetterà di non perdere le energie e gli slanci propri appunto dei concetti di creatività e cultura.
Questa iniziativa vuole in qualche modo coinvolgere tutti i settori e spingerli a fare gruppo e parlare all’unisono. Cosa ne pensa? È importante secondo lei questo fare squadra?
Fare squadra è estremamente importante. Non può avvenire in modo automatico o per imposizione governativa. Tutti gli attori devono giocare la loro parte, consapevoli di andare verso una direzione convergente, che a livello istituzionale deve essere tratteggiata. Devono anche essere motivati a condividere esperienze ed a trovare elementi di comunanza e di collaborazione, anziché arroccarsi su elementi di peculiarità e di “conservazione della specie”.
Creatività e cultura in Italia ricoprono un ruolo trainante, in quanto rappresentano elementi di differenziazione per il nostro Paese e potenziali fonti di vantaggio competitivo per il “Sistema Italia”.
Marcello Miradoli