Il digitale è ormai da oltre un decennio la nuova frontiera dell’editoria, quotidiana e non. Un game changer paragonabile alla stampa a caratteri mobili. Qual è la sua visione a riguardo? In che modo ritiene che possa diventare un’opportunità per l’editoria giornalistica?
Il digitale ha già cambiato le imprese che producono informazione. Le ha cambiate “dall’alto”, perché le strategie per essere competitivi richiedono trasformazioni profonde nel modo di gestire le risorse finanziarie e tecniche e, soprattutto, quelle umane. Le ha cambiate “dal basso”, con nuovi modi di concepire il ruolo di editore e la professione di giornalisti. Nel mezzo c’è il “qui e ora”, dove non si sono ancora affermati del tutto efficaci modelli di business e di organizzazione del lavoro centrati sull’innovazione. Tutti i campi della comunicazione sono ineluttabilmente orientati alla “digital transformation”, ma, detto questo, in Italia l’attenzione alle opportunità dell’economia digitale è ancora sorprendentemente recente. E abbiamo un notevole ritardo, rispetto ad altri Paesi competitor, nell’Unione europea e al di fuori di essa, nella crescita delle digital skills. Tutto cambia però, ma non cambia il punto di arrivo del nostro lavoro che rimane l’offerta di contenuti di informazione qualificata e certificata, che non è e non può essere gratuita e che va tutelata anche attraverso la difesa dei valori dell’etica professionale. Sul lato dei destinatari è da promuovere l’engagement con il lettore sulla base delle sue nuove esigenze di personalizzazione, reciprocità, coinvolgimento nella fruizione delle notizie. Una sfida stimolante per chi scrive e un’opportunità di crescita di creatività per l’offerta culturale.
La dimensione globale dell’informazione, agevolata proprio dalla rivoluzione digitale, può includere e valorizzare le esperienze territoriali? Come?
Il territorio e le realtà locali sono da sempre un plus per molte esperienze di giornalismo, soprattutto nell’editoria quotidiana. Lo sono ancora di più oggi, quando i social ci restituiscono l’immagine di gruppi più o meno piccoli che si incontrano in rete sulla base di particolari interessi condivisi e che su questi interessi decidono di informarsi. Glocal e local così, nella dimensione digitale, si intrecciano e si arricchiscono perché la territorialità cessa di essere solo fisica, consentendo piuttosto l’incontro tra soggetti anche lontani, ma vicini nei loro gusti e nei loro bisogni di approfondimento. Un filone da seguire e da perseguire, quindi, questo della ultra-specializzazione su temi legati ai luoghi, non solo geografici, nei quali il lettore si riconosce.
I settori creativi vengono spesso visti singolarmente: attori, cantanti, pittori, etc., ma se visti nel complesso valgono quasi 1 milione di occupati e più di 2,5 punti di PIL. Si potrebbe fare qualcosa per sfruttarne l’effetto sistema? Può essere un’opportunità per il Suo ambito e per il Paese in generale?
Sì. Mai come nel momento attuale, in cui il rischio di omologazione, di effetto ‘copia-incolla’, di tendenza alla replica dello stesso contenuto sui diversi canali è altissimo, il talento e la creatività vanno difesi e sostenuti. L’Italia è per giunta il Paese che a lungo ha detenuto un primato di originalità in molti settori chiave dell’esperienza umana, primato che da tutto il mondo le veniva riconosciuto e che rischia di perdere per incuria e per eccesso di miope tutela della propria, singola, categoria. Riportare il contenuto dell’ingegno – quale esso sia – al centro, e far ruotare attorno ad esso leggi di sistema che lo tutelino, iniziative di sostegno che lo promuovano, una formazione mirata che lo indirizzi e incentivi ai più giovani che lo alimentino con nuove idee, è la chiave – la sola forse – per riportare in auge quella specificità della creatività italiana che è la nostra ricchezza. Per fare questo occorre fiducia e costante attenzione verso l’industria culturale nel suo complesso, un’industria ad alto valore economico e sociale, il cui prodotto tuttavia è una merce particolare, seme di conoscenza, di bello, di sapere, di consapevolezza, ambiente ideale per la proliferazione della pianta del vivere sociale civile e democratico.
Infine avremmo il piacere di chiederle una frase o uno slogan, di sua invenzione, a supporto del progetto Italia Creativa.
Creatività, Cultura, Comunità: tre pilastri per l’Italia futura.
Creatività, Cultura, Comunità: tre pilastri per l’Italia futura.
Maurizio Costa